mercoledì 22 aprile 2009

N come nonna


La nonna era del 99. Era nata il 5 marzo ed era figlia unica. Le piaceva lo zucchero a zollette. Le zollette di zucchero ed il caffè macinato acquistati da Micali furono la salvezza dei Panuccio che rimasero sotto le macerie per circa dieci giorni. Come tanti soppravvissuti nel terribile sisma furono portati a Palermo. Il bisnonno non volle andare negli Stati Uniti e ritornò a Messina, dove su suggerimento di un amico acquistò quattro case a Paradiso per cominciare una nuova vita. Era bellissima Angelina. Biancolatte la carnagione. Azzurri gli occhi. Biondissimi i lunghi capelli. Morbida e vellutata la sua pelle. Di poche parole e raramente usciva di casa. Curava con amore le sue piante e ne aveva tantissime. I suoi gerani, profumati e belli ci facevano compagnia quando nei pomeriggi d’estate parlavamo. Da lei ho ereditato la passione per il giardinaggio. Non sono mai riuscita ad avere gerani profumati e belli, ma le mie rose sono davvero meravigliose e l’invidia del Paradiso.
La nonna leggeva Grazia, Amica, Gioia, Bella e Confidenze. Poi commentava con le figlie i lavori proposti. Ordinava da un catalogo, Modafil, le lane e i cotoni da utilizzare. Faceva un ordine unico con alcune figlie e quando arrivavano le matasse l’aiutavo a fare i gomitoli. Lei e la figlia più grande li facevano perfettamente ovali con buchetto al centro dei due lati. A me non riuscì mai di avvolgere una matassa perfettamente neanche con l’arcolaio e la cosa dopotutto non era importante. Come la mia mamma sono stata sempre pratica anche se mi dispiace vedere le matassine di cotone conservate e avvolte imperfettamente.
Le case delle zie, quelle perfettine, mi mettevano a disagio. Col tempo mi resi conto che non c’era lo stesso calore e le stesso grande amore che invece c’era da noi. La nonna ci metteva tanto amore nel fare le cose e così i maglioni ai ferri, scialli e mantelline ad uncinetto, centrini a filet erano proprio belli, spesso più belli di quelli fotografati nelle pagine delle riviste.
Leggeva attentamente tutti i consigli di giardinaggio, conosceva tutti i nomi scientifici delle piante e quando gliene piaceva qualcuna se la faceva comprare e magari poi la riproduceva per talea per qualche figlia. Prestava molta attenzione alle ricette, prendeva nota degli ingredienti e poi con trionfale orgoglio le presentava a tavola. La nonna non andò mai a fare la spesa. Dapprincipio ci pensava il nonno mandando qualche operaio, poi cominciò a portare con se la mamma che cominciò ad avere carta bianca nei vari negozi della città. Nelle vicinanze c’erano fruttivendola, macellaio e salumiere, così telefonava per farsi mandare la spesa.
Appena alzata, la nonna preparava il bricco del caffè alla turca cosi mentre andava in bagno a lavarsi il caffè aveva il tempo di ricettarsi per inebriare col suo profumo tutta la casa. Era ottimo il caffè della nonna. Il nonno le acquistava dei contenitori di caffè Illy che sembravano pentoloni lucidi. Le nonna poi si sedeva a macinarlo, tanto quanto bastava, per averlo sempre fresco. A volte con l’intento d’aiutarla prendevo il macinino e per farlo girare mi pizzicavo la pelle e lanciavo qualche grido di dolore alla vista del sangue. Avevo sempre la passione di girare e rimestare. Così ero sempre pronta ad aiutarla quando faceva il pan di spagna. Si sbattevano gli albumi a neve con due forchette finché la forchetta stava dritta nella grande ciotola di porcellana bianca mentre i tuorli con lo zucchero si giravano col cucchiaio in una ciotola di smalto più grande per aggiungere un po’ alla volta l’amido prima infornarlo in una grande teglia. La nonna usava la ricetta per dodici uova e questo dolce fu merenda della mamma e degli zii anche in tempo di guerra, quando sfollati in un paesino della provincia lo “sfornava” adagiando la teglia sul fornello a carbone e mettendo anche la calde cenere sul coperchio che metteva sulla teglia .

Da ragazzina lavoravo per la Stanhome e così quando le compravo le riviste non mi prendevo mai i soldi che avevo speso. Un giorno la trovai seduta sul divano che piangeva. Nel cambiare l’acqua ai fiori aveva rotto il bel vaso che avevo regalato alla mamma per il suo onomastico.
La nonna lavorava ai ferri e all’uncinetto e così m’insegnò a lavorare la lana che avevo sei anni ed insieme a lei feci una coperta del mio corredo. Le zie si facevano fare sempre le maniche dei maglioni dei bambini, la mamma invece preferiva farsi bordare ad uncinetto dei centrini di lino. Ne ho tanti a casa, soprattutto in lino acquamarina che la mamma fa vedere ancora alle amiche.
La nonna aveva in casa lavatrice, lavastoviglie, televisione ed aria condizionata quando tanta gente queste cose le sognava. La sua prima lavatrice aveva i rulli in cui bisognava passare i panni per strizzare l’acqua e cosi quando facevano il bucato la lavatrice la dovevano spostare. La lavastoviglie era a quattro piani perché ogni sera a cena eravamo in tanti. Non erano ancora in uso stoviglie usa e getta e noi bambini prendevamo un bicchiere pulito ad ogni bevuta. Si era soliti passare il pomeriggio tutti insieme. Le zie dalle loro case venivano con borse, pacchi e pacchetti appena finivano di fare i servizi di casa. Per noi era sempre festa. Giocavamo in tanti modi e poco prima che iniziasse la TV dei ragazzi si faceva merenda. Spesso la nonna telefonava al bar Venuti per ordinare i “piemontesi” . Erano enormi ed ognuno veniva diviso in quattro parti uguali. Col tempo il pasticciere, coll’aumentare il prezzo del dolce ne rimpiccioliva le dimensioni. A volte ci era permesso fare merenda con pane burro e zucchero o con l’uovo sbattuto. Nonna e mamma, non amavano molto che si facesse questa merenda. Noi si e tantissimo perché c’era da sbattere il tuorlo con lo zucchero in un tazzone e poi si montava a neve l’albume in un piatto fondo con forchetta. Che concerto di stoviglie! E quanto da lavare dopo! Ma che spasso. A volte poi si facevano le torte al cioccolato. A me non piacevano perché mi sembrava mangiare la carne di qualche nero come quelli che vivevano in Africa. Un’altra merenda che amavamo era il pane con il latte condensato. Alla nonna piaceva metterlo per fare colazione nel suo caffè alla turca.
Dalla nonna il pane non mancava mai. Lo portava due volte al giorno un certo Laganà, che lavorava nel forno dello zio. Il pane Roma era speciale ma anche i marsigliesi e quand’erano fumanti la nonna ne preparava uno con olio sale e pepe e lo condivideva. Era anche questo un momento di festa.
La giornata della nonna aveva un ritmo instancabile. La donna di servizio era come un membro della famiglia e seppur analfabeta aveva un modo tutto suo per riuscire a fare qualche telefonata. Il bucato si faceva ogni giorno perché il fratellino della mamma bagnava il letto ogni notte! Poi grembiuli, tovaglioli e strofinacci andavano bolliti e zorati nell’ultimo risciacquo. In cucina c’erano due enormi bacinelle d’alluminio. Quando si toglievano dal fuoco non si potevano toccare i panni. La bacinella veniva messa a terra in attesa che i panni si potessero sciacquare prima di finire in lavatrice. Quando il calciatore Benitez lasciò Messina ci regalò un pallone di cuoio usato in una partita di Serie A, uno dei cuginetti che era piccolo cercò di giocarci ma finì col culetto ustionato cadendo proprio nella bacinella del bucato bollito!
Il pesce fresco arrivava con Peppino, uno dei dipendenti del nonno che si fermava qualche attimo in cucina per raccontare qualcosa della famiglia e d’inverno appena entrava in casa si toglieva la coppola in segno di rispetto. I giornali arrivavano di mattina, consegnati personalmente dal figlio maggiore degli edicolanti. Al salumiere la nonna chiedeva anche di mandare il resto di diecimila lire. Dopo le pulizie, la nonna e la mamma decidevano il menù del pranzo. Non mangiavamo tutti la stessa cosa. Per pranzo la tavola rimaneva apparecchiata fino alle due e mezza. Non si pranzava tutti insieme durante la settimana. Si pranzava nel salone con tutte le serrande abbassate e i lampadari accesi. La nonna era convinta che i preti potessero affacciarsi e spiarci.
A cena s’apparecchiava anche il tavolo bianco della cucina. Era per noi bambini soltanto. I grandi cenavano guardando il telegiornale senza che noi l’infastidissimo con le nostre risate o i nostri screzi. Poi in religioso silenzio andavamo nel salone per vedere Carosello. Qualcuno crollava prima che finisse e così quando si svegliava non sapeva neanche che l’avevano sceso tenuto in braccio in ascensore!
Dopo cena, prima di andare a letto, la nonna preparava qualcosa per il figlio scapolo, in caso avesse fame quando rientrava. Anche lui come la nonna, non faceva mai sentire la sua voce. Puntualmente ogni mattina, la pietanza lasciata per lui era intatta. Ogni giorno andava riciclata.
La nonna teneva i capelli a forma di chignon e li tagliava solo per togliere le doppie punte. Poi usava forcine di tartaruga e uno o due ferretti. In tasca teneva un fazzoletto, gli occhiali e l’uncinetto, ma anche una spilla di balia. Non portava reggicalze e così si faceva le giarrettiere. Non aveva mai calze rovinate. Se era possibile riammagliarle le mandava in merceria ma usava sempre la stessa marca e lo stesso colore. La mamma, aveva una grande amica che aveva una grande sartoria e così la signora Vittoria veniva a provarglieli a casa i vestiti, per i quali la mamma usciva sempre per comprare le stoffe. Negli ultimi anni fu invece la figlia di uno degli operai del nonno a confezionarle i vestiti.
Il nonno amava viaggiare ed ogni anno andava alla Fiera del Mobile a Milano, in crociera d’estate e poi a Fiuggi e a Chianciano con gli amici. Lei si spostò solo in occasione del matrimonio del primogenito, per il quale si recò anche a Roma quando si temette per la sua vita e lo operò il famoso e insigne Prof. Valdoni.
Quando d’estate si prese l’abitudine di andare a Paradiso nella casa al mare lei non scendeva mai in spiaggia. Rimaneva all’ombra nel terrazzino su una sdraio, sempre elegante e con un bel cappello. Sandali di nappa e borsa coordinata. Sorrideva molto la nonna finché non rimase vedova. Poi le cose cambiarono e vivere con la nuora non fu come vivere con le figlie. La casa fu ristrutturata e due appartamenti trasformati in uno. A lei diedero la stanza più piccola e non fu più attorniata dalla gioiosa confusione cui era abituata. Le mie cugine ricevettero in dono un barboncino principe, che fu la sola compagnia delle sue solitarie giornate. Non indossò più neanche un gioiello. La sua stanza fu arredata con pezzi di mobili diversi e non disponeva più di nulla. Le figlie andavano a giorni alterni a tenerle compagnia. Tornando da Chapel Hill, un giorno approfittai che la zia era andata a pulire la casa delle vacanze e feci venire tutti. Per qualche ora le ritornò il sorriso. L’emozione fu tale che le dovemmo cambiare anche il letto e farle il bagno. L’ultima volta che la vidi feci delle foto con l’autoscatto. Credo di essere l’unica nipote ad avere in casa foto della nonna e con la nonna. Dall’America le scrivevo sempre per tenerla informata dei miei studi, delle mie amicizie, dei miei viaggi. L’ultima lettera che le scrissi arrivò il giorno del suo funerale così non so cosa pensava di me che facevo il pane in casa per mangiarlo a mezzanotte, fumante col burro fuso ed il pesce secco che arrivava dall’Islanda. I genitori di Thorun Rafnar lo spedivano regolarmente alla figlia che divideva con me l’appartamento al n°29 di Colonial Arms. La nonna non aveva mai sognato di andare in quella terra lontana, dove d’inverno era sempre buio ed i cui fiordi erano gelati e dove il buio spinge molti al suicidio.
Nella camera da letto della nonna c’era un baule pieno di corredo. Una volta venne una sorella della mamma che aveva fatto la scappatella intorno ai sedici anni. La nonna aprì il baule e cominciò a darle il corredo che le aveva preparato. Dopo tanti anni il marito le aveva permesso di andare dalla madre! Così ogni volta che veniva la zia si portava via delle cose.
A Natale si faceva un albero di Natale che arrivava al tetto e gli addobbi di varie forme e colori, se cadevano a terra si frantumavano ed erano taglienti. L’odore del pino era inebriante. Si metteva un divano per evitare che i più piccoli s’avvicinassero troppo e ci facevano delle belle foto. Cucinavano per giorni la mamma e la nonna. Come al solito cercavo di aiutare, con i cannelloni che mi piaceva tanto riempire e con le sfinge che sfrigolavo nello zucchero prima di metterle disposte a piramide in una stupenda ed enorme ciotola di porcellana con dei draghi blu.


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