Da bambina avrei voluto rompermi una gamba cosi da ricevere tanti libri da leggere e imparare tante cose! A quaranta giorni presi la tosse convulsiva e cosi mamma e papà mi portavano sull'aliscafo all'alba per farmi guarire prima. Ho scoperto da poco che l'inverno del 56 fu molto freddo. Mi viene difficile immaginarmi piccolina e imbacuccata. La carrozzina che si vede nelle foto era grande e piuttosto brutta se la paragono alle belle carrozzine che ci sono in giro ora!
In prima liceo me ne capitarono di tutti i colori. Il dente del giudizio che mi stava spuntando mi fece tanto male che passai una notte intera con la bocca sotto il rubinetto dell'acqua in cucina e mi presi la bronchite! Una sera dopo una battaglia al borotalco dei miei cugini, scivolai in bagno ed ebbi una lussazione al polso di cui subisco ancora le conseguenze! Non mi fu ingessato ed iniziò un processo d'artrosi e l'ulna non si sviluppò più. Nel 1986 quando insegnavo alla University of Massachussetts cadendo da una sedia rotta per abbassare una tapparella il polso destro mi causò tanti problemi che l'anno dopo dovetti subire il mio primo intervento chirurgico. Protesi dell'ulna al braccio destro. Mi operò il dottor Watson ad Hartford nel Connecticut. Per pagare l'intervento dovetti richiedere i soldi che c'erano nel mio fondo pensione perché l’assicurazione della Valley Health Plan con copriva tutte le spese. Intervento di sei ore in day hospital! Mi accompagnò un collega di francese che era rimasto vedovo da poche settimane e che aveva ancora a casa i parenti venuti dal Belgio. Venne anche la giovane nipote alla quale egli fece visitare la famosa Yale University mentre io ero sotto i ferri.
In quell'occasione sperimentai la freddezza e l'indifferenza della gente. Ringrazio Dio per il collega che mi accompagnò. Ricordo che chiesi a tutti quelli che conoscevo se mi accompagnavano. La mia amica Giovanna Bellesia era incinta e non poteva guidare! Il problema non era andare ma tornare. Dovetti letteralmente elemonisinare l’essere accompagnata. Inoltre nel viaggio di ritorno ci fermammo in autostrada e zio e nipote mangiarono mentre io dolorante rimasi in macchina ad aspettare per circa mezz’ora. Poi andammo prima a casa del collega così la cara nipote potesse guidare la mia station wagon fino a Sunderland. Dopo avermi aiutato a mettermi a letto se ne andarono lasciandomi sola. Ebbi una reazione all'anestesia e soffrì la sete. Quando tornarono a casa, Nina e Vincent Ilardi, che in quei tristi giorni mi ospitavano nella loro bella villa circondata da una tenuta con meraviglios cavalli, mi trovarono in pessime condizoni e dovettero contattare il dottor Watson. Non potendo rimanere sola, gli Ilardi, ik giorno dopo, mi accompagnarono dai Mulcahy. La mamma di Gabriella, una gentildonna di Tortona, mi prestò cure e attenzioni e poi con la figlia mi portò in ospedale per la medicazione. Mamma e figlia spinsero la sedia a rotelle che mi dettero all'entrata in ospedale e quando arrivammo dal dottor Watson tutti pensarono che le mie amiche fossero mia madre e mia nonna! Venni anche additata come la professoressa Italiana che aveva gridato dalla sala operatoria al sala del risveglio. Ovviamente ricordo solo che mi fu detto che avrei dovuto pagare venticinque dollari per la flebo che mi fecero.
Sono passati tanti anni dall'intervento e ogni tanto dallo studio del dr Watson mi arrivano inviti a fare visite di controllo gratis.
Negli ultimi cinque anni ho subito tre interventi. L'anno in cui insegnavo a Sant'Agata di Militello venni a sapere del centro pre menopausa. Dopo tutti i controlli, alla vigilia di Natale mi fu detto che avrei dovuto operarmi al seno destro. L'undici gennaio 2005 mi operai al Policlinico, Una quadrectomia mi lasciò un seno a forma d'ulivo. I due giorni d'ospedale furono terribili. Mi vennero a trovare alcuni amici. Salvatore Ingemi, Giovanni Gervasi, Maria Celeste Celi. Nella mia stanza c'era una giovane operata d'appendicite.
Intorno alle sei venne un medico e mi fu data una pillola. Non avevo acqua e mi dissero di telefonare a mio marito per farmela portare. Il medico disse che potevo mangiare prima di prenderla. Nessuno però aveva portato da mangiare. Dovetti telefonare al mio editore, Filippo Briguglio per farmi portare una bottiglia d'acqua. Era l'unica persona che conoscessi che abitava nei pressi del policlinico. Il medico che doveva fare la notte era la mia amica Teresa Fonti. Mi portò del thè caldo caldo che si era portata nel thermos da casa. Ricordai di avere dei crackers nella borsa e così dopo questa cenetta presi la pillola.
Pregai con Teresa e poi con le infermiere che fecero la notte. La mattina dopo non portarono neanche la colazione. Chiesi al chirurgo di potermene andare a casa e rimettermi tra le mie cose. Tornai a scuola dopo un mese.
L'anno scorso, facendo un controllo tanto per, dovetti essere operata di nuovo. Questa volta ad entrambi i seni. La mammella sinistra mi fu svuotata e a quella destra mi furono tolti altri fibroadenomi.
Tra il mercoledì delle Ceneri ed il 2 Aprile quando subì l'intervento passai un periodo bruttissimo in attesa del giorno dell'intervento. Chiesi al chirurgo che mi operò se fosse possibile tornarmene a casa lo stesso giorno. Ero insofferente all'ambiente ospedaliero e dopo aver assistito per 37 giorni la mia anziana madre proprio in quel reparto ero sicura di non sopravvivere. Andai in ospedale col chirurgo, che è anche il marito di una mia cugina. Avendo fatto il protocollo antiallergico sarei stata la prima ad essere operata. Caposala ed infermieri nel vedermi in sala d'attesa intorno alle sette mi dissero "brisciù ka?!" Dopo una puntura per completare il protocollo mi fecero rimanere in sala d'attesa. Un infermiere si rivolse al medico con un tono tale che l'avrei volentieri preso a calci nel sedere. Maleducato e cafone era un tipo
di persona che Vera Yarrow, madre del cantante Peter, avrebbe definito" male shovinist pig". A dieci minuti dall'intervento non avevo ancora il letto. A calci nel sedere dovettelo darmelo e venne un ragazzetto a depilarmi le ascelle. Mi feci dare il rasoio e dissi che avrei fatto da me. Mi misurano febbre, glicemia e pressione in corridoio prima di portarmi in sala operatoria. Tutto di corsa perchè gli infermieri al loro arrivo in ospedale se la prendono comodamente. Il caffè e le chiacchiere coi colleghi e quel criticare tutto e tutti!
Questa volta ero in una camera per sei persone. I letti erano tutti occupati. Alla mia sinistra c'era una ragazza che fu operata dopo di me. Intorno alle tre, il medico di turno, mi disse che se fossi riuscita a stare seduta per venti minuti, mio cugino mi avrebbe dimessa e portata a casa quando avrebbe finito di operare. L'infermiera non avrebbe voluto cambiarmi la flebo ma sentendo che ero stata operata da poche ore mi chiese perchè me ne volessi andare a casa. Riconoscendo in lei l'infermiera che a mia madre aveva messo due pannoloni e le aveva fatto venire le pieghe dopo la seconda notte di ricovero le dissi: "cara signora Lilla, 37 giorni d'assistenza a mia madre mi sono bastati per tutta la vita!" La vecchina del letto di fronte lamentò il fatto che me ne andassi senza che ci potessimo conoscere.
Mi feci aiutare e anzichè il pigiama chiesi di mettermi i pantaloni. Trascinando la flebo andai a fare pipì.
Finito il suo turno, Tommy mi disse di chiamare l'infermiera perchè mi togliesse la flebo e di prepararmi per tornare a casa. L'infermiera lo fece con un tale garbo che in pochi minuti mi ritrovai la manica sinistra del pigiama tutta inzuppata di sangue. Dieci minuti d'attesa mi misero nel panico.
Prima e dopo l'intervento molti alunni ed ex alunni mi sono stati vicino. Il popolo amico di facebook è stato i l mio grande sostegno e la mia compagnia. I miei ragazzi di Stafford 08 stupendi. Proprio in quel periodi ebbi una grande gioia. Un ex alunno di UNC-Chapel Hill del mio corso di Lingistica generale del 1980-81 mi ritrovava su Facebook! Quale grande gioia essere ricordata dopo 30 anni da un alunno!!!!. Insegnavo alle 8 di mattina e in quel corso c'era Rod Elkins il quarterback della squadra di football!
A fine Ottobre altri problemi. Un martedì che stavo male andai a scuola lo stesso per non mettere in difficoltà i colleghi ma dovetti poi chiedere di tornare a casa e così invece di partecipare alle riunioni andai al pronto soccorso. Gridai come un ossessa per la paura nonostante la bravura del ginecologo, il dottor Fiorentino. Qualcuno nel reparto erroneamente pensò che in quella stanza ci fosse una partoriente. Qualche settimana dopo e altri accertamenti, un intervento poi il 15 dicembre. Il 17 gennaio 2010 mi reco all’Ospedale Piemonte per quelli che dovrebbero essere semplici controlli e per avere il risultato dell’esame istologico del recente intervento.
Nella stanza del primario trovai la mia amica Gabriella e pensai di mettere le mie mani sul suo volto perchè dicesse chi fossi. Nel vedermi lei, il marito e il primario mi dissero che bisognava togliere tutto. La bella giornata invernale ed il sole che mi avevano dato tanta energia all’improvviso mi fanno sprofondare nello sgomento. Incredula penso che i medici parlino di un'altra persona. Prelievi e prenotazione di una urgente Tac perché devo essere sottoposta a K endometrio entro pochi giorni.
“Carcinoma”, parola che nessuno vorrebbe riferito al proprio corpo o a quello di una persona cara. Non è facile abituarsi all’idea quando si è convinti di avere già risolto il problema. Mia madre ironizza affermando che sia meglio togliere tutto visto che non l’ho utilizzato. Non dormo e non ho le forze per andare a scuola. Durante il tragitto verso Oliveri prego cercando di memorizzare la natura che mi circonda e il Santuario della Madonna Nera. Prego col cuore e inghiotto amaro. Ho bisogno di essere abbracciata. Sono sola.
In attesa della Tac devo fare il protocollo antiallergico. Il deltacortene va preso anche di notte. Lascio la luce accesa per restare sveglia e gioco come milioni di persone a Farmville. Ho chiesto agli amici virtuali di pregare per me. L’ho fatto in più lingue. La sofferenza fa paura e nessuno invia messaggi di incoraggiamento.
La mia amica Antonella non si sveglia in tempo e così alle sette meno cinque esco di casa piangendo e urlando la mia solitudine. Se avessi avuto una sorella! Un marito, un figlio non sarei dovuta andare in ospedale da sola. Piango lacrime amare che si portano via le energie rimaste. Il tempo è brutto, diluvia e per tutto il tragitto da casa in ospedale una sola parola: Gesù e lo prego che se devo fare terapie dopo l’intervento che mi dia la forza di andare coi miei piedi.
La pressione sale, non ho spiccioli per comprare l’acqua e devo accontentarmi di un bicchiere d’acqua al bar per l’ultima dose di deltacortene e per la pillola della pressione. Volevo essere in ospedale al più presto perché se la Tac è un medico amico a fartela, il risultato forse cambia. Nella sala d’attesa arrivano due persone, la zia di una infermiera che deve fare il torace ed una signora che ha subito un intervento simile a quello cui devo sottopormi tra qualche giorno. Mi dice che si faceva da sola le medicazioni
Con la TAC la conferma: K endometrio. Ricovero il 27 gennaio e intervento il 29.
In ospedale s'incontra gente di tutti i tipi. In un reparto di ginecologia si fa esperienza di vita e di morte.
Il 15 dicembre, in attesa dell'intervento mi trovai con una ragazza che aspettava il suo medico per il suo secondo cesareo. Piangeva e la consolai e pregai per lei. Toccai il suo pancione imponendole le mani ma la bimba non la sentì che quando nacque e pianse. Quando poi mi svegliai dall'anestesia e sanguinavo per il raschiamento mi ritrovai con una giovane pronta ad abortire. Piansi più che per i miei dolori al pensiero di quella vita che mai avrebbe detto mamma. Io che non ho avuto la gioia di una maternità la supplicai inutilmente. Paola fu determinata ad interrompere la sua gravidanza. Ha pensato che solo uccidendo suo figlio potrà aiutare il compagno e padre di un altro bambino ad uscire dalla droga.
Il 27 gennaio andai in ospedale con Pino. Arrivata intorno alle 8 ebbi il letto alle 13.45. Ci sono 12 stanze a ginecologia ed ogni giorno bisogna dimettere una qualche paziente per dare il letto ad un'altra. Medici in gambissima, ma le infermiere lasciano a desiderare. Fuori una sala d'attesa inutile. Tutti si accalcano all'entrata, tutti vogliono scavalcare le altre donne, ognuna di loro vuole il suo medico. Tutte hanno premura. Benchè ogni paziente non possa ricevere più di due persone alla volta, all'orario delle visite pare di essere al mercato. Educazione e rispetto se ne vanno a farsi friggere.
Quando si è ricoverati e si sta male ogni cosa dà più fastidio. Dopo ore di estenuante attesa finalmente il ricovero ed entrai nella mia stanza, la numero 9. Pregando uno dei medici amici evitai di finire nella stessa stanza di una tizia che dalle 8 alle 13 mi aveva raccontato la sua vita e tutti i suoi problemi almeno venti volte. L'intervento che dovevo subire, devastante psicologicamente non era già abbastanza? Inoltre ero un ammasso di dolori perchè dopo la tac ero caduta in un negozio e non mi ero accorta del dislivello!
In ospedale mi portai dei libri che potessero rafforzare il mio spirito. Stando bene quel pomeriggio feci il giro delle stanze. Una giovane maestra partorì tre gemelli, due femmine ed un maschio. Subito dopo il cesareo era raggiante e pimpante. In un'altra stanza una giovane ebbe il cesareo ma con raschiamento perchè anche la sua era stata all'inizio una gravidanza gemellare. La bambina fu ricoverata in neonatologia per diversi giorni.
La sera incontrai una mamma bambina. Stefania ha solo sedici anni ed il trenta gennaio ha avuto Claudia.
Piangeva quando la vidi e me la tenni stretta al petto come se fosse stata mia figlia. Lei cosi piccola e minuta, mamma a sedici anni. Quella sera pregammo un lungo rosario, meditando ogni mistero. Stefania, spinta dal giovane che l'aveva messa incinta voleva abortire. La madre l'ha lasciata libera ma al momento di abortire è stata saggia e non l'ha fatto. Claudia è una bambina stupenda!
La mia compagna di stanza si sentiva un pezzo da novanta. Ha il diploma di maestra e così fa ripetizioni. Il marito è operaio nel panificio dei genitori di un mio ex alunno! Il figlio è alunno del mio amico Ingemi.
L'avevano operata il giorno prima. Le hanno tolto un fibroma e un'ovaia. Era ansiosa ed esageratissima, di quelle persone che vogliono essere al centro dell'attenzione. Non si prendeva la pillola della pressione. Quando veniva per una breve visita qualche amica mia lei rompeva chiedendo questo o quello. Il giorno prima dell'intervento dovetti prendermi una purga sciolta in tre litri d'acqua. Il gusto obbrobioso si attenua con l'acqua molto fredda. L'ansia e la paura con il suo comportamento mi hanno esasperata e dovetti anche dirle "Scusa, ma nel tuo vocabolario esistono grazie e per favore?"
Molto ineducatamente all'arrivo dei medici e dell'anestesista che dovevano prepararmi all'intervento li mise in allarme dicendo loro che aveva la pressione alta. Si allarmarono dicendo che avrebbero chiesto il consulto cardiologico. A quel punto le dissi " ma hai detto al dttore che non hai preso la pillola della pressione?" "Fatti i fatti tuoi!" L'anestesista allora è esploso rimproverandola . La poveretta si è giustificata dicendo che si era dimenticata di dirglielo. All'ora delle visite una decina di persone e dovetti mangiare la mia mela cotta in piedi. Chiesi anche di essere spostata perchè non ne potevo più. Quella sera dovettero fare andare in elicottero a Siracusa una ragazza perchè non c'erano incubatrici più vicine!
Qualche giovane donna ha partorito di notte e ha dovuto passare 10 ore in barella prima di avere un letto. Mi sembrava di essere in un manicomio. Gente che urlava a destra e a manca. Ragazzine pronte ad abortire di nascosto ai genitori! E pillole del giorno dopo. Ragazzine di 15 e 20 e 21 anni mamme con o senza cesareo, e quel che è peggio non sposate.
Insonne la notte prima dell'intervento per la purga e per il protocollo anti allergico! Ho letto e pregato, tutta la notte. Traumatizzante il momento della depilazione e del catetere! Poi con l'aiuto delle due infermiere sono passata dalla sedia delle partorienti alla barella per andare in sala operatoria. La vista di Tommy mi ha tranquillizzata perchè era venuto ad assistermi. Gli ho dato i miei due cellulari e l'ho informato che la mamma nella notte era caduta dal letto. All'entrata della sala operatoria mi hanno detto che aveva chiamato la dottoressa Mangano e che mi faceva tanti auguri. Qualcuno mi disse che avrebbe avvisato Cesira Celi. Tra i tanti volti anche quello di un giovane anestesista, figlio di una mia ex collega. Ultimo ricordo Tommy col camice bianco e una specie di molletta bianca sull'indice sinistro.
Poi delle voci ed ero in corridoio. Dalle 8 alle 11.30 in sala operatoria!. E vedo Tommy, Angela, Antonella.
I dolori sono atroci. Il mio cuscino di piume portato da casa sotto la nuca. Quando squilla il telefonino risponde Angela. Non ricordo chi ha chiamato. Nel primo pomeriggio sento un rivolo e faccio qualche cenno. Angela alza la coperta ed il lenzuolo e vede che è sangue. Accorrono medici e infermieri, rompono il pannolone, mettono dell'anestetico e mi danno altri due punti con cucitrice. Scopro quindi che mi hanno chiuso la ferita con delle graffette metalliche! Del tipo che si usano con dei fogli!Mi mettono del ghiaccio sull'addome e mi lasciano sporca di sangue fino al giorno dopo alle 17.30. Rimango immobile e zitta per 24 ore. Unica volta della mia vita. Peso cento chili ma sono un ammasso di dolore. Quando mi lavano mi mettono il cuscino dell'ospedale dove ho il livido della caduta. Ricevo qualche visita. Tutte inaspettate e gradite. Mi raccontano che durante l’intervento, uno dei medici, Cosimo, si è sentito male. Ha avuto un attacco di vomito e diarrea. Perciò è uscito e dopo aver fumato una sigaretta è tornato in sala operatoria.
I miei telefonini non sempre prendono e cosi richiamo chi mi ha telefonato e non mi ha raggiunto. Il pomeriggio prima dell’intervento parlo con una supplente. E’ una tizia che conosco e che non gode né della mia stima né della mia amicizia. Ha insegnato ad Alicudi quando io ho insegnato a Panarea e per quanto mi aveva riferito un’amica non è tra le persone che avrei scelto se avessi potuto. Mi sembra disponibile a seguire i miei consigli ma nel mio cuore comincia una sofferenza per la classe a me tanto legata.
Quando vengono gli infermieri per farmi alzare si percepisce con quanto poco amore svolgono il loro lavoro. Lo sgarbo con cui tolgono la mutandina e ti lavano. Lo sforzo che ti fanno fare per alzarti. Il campanello sul mio letto non funziona. Da me le visite sono poche per cui offro le mie sofferenze per gli altri. Se qualcuno mi chiama dico che preferisco che vadano a casa dalla mamma. Gesù che mi nutre ogni giorno, nei giorni in cui sono ricoverata è Padre Fosco a portarmelo il sabato mattina così ricevo la forza per vivere la giornata senza acqua. L’unica concessione un goccio d’acqua per la pillola della pressione che devo prendere per forza. La domenica viene un ministro straordinario, viene una persona della comunità che con molto garbo e da sola riesce a farmi alzare e a fare qualche passetto. Gli infermieri sgarbati mi fanno far così male ed è come se avessi avuto l’operazione ai seni il giorno prima. Cerco di camminare un po’ quando ci sono infermieri che aiutano. La vista del catetere e del drenaggio mi fanno paura. Mi dicono che posso prendere del thé dopo che mando aria. Operata di venerdì posso bere il thè lunedì. Bevo quello che mi ha portato mia cugina e non riesco a dormire per l’ennesima notte. La mia compagna di stanza ed i suoi figli si mangiano tutti dolci che mi hanno portato. Grazie a Dio mi lascia due biscotti al burro. Gabriella mi manda dal bar un caffè martedì mattina ma se lo prendono le infermiere e a me non arriva niente! Mi cambiano il letto, togliendo le lenzuola macchiate di sangue! Sono passati sette giorni. Menomale che da casa mi sono portata un morbida e nuova coperta di pile per rallegrarmi. Mi tolgono il catetere e il drenaggio. Mi dicono che posso andare in bagno. Scopro che la mia carta igienica è sparita. Menomale che ho quella alla camomilla. Non riesco a sedermi sul gabinetto e con successo riesco a fare pipì usando gli assorbenti. Inoltre mi schifo ad usare il gabinetto se lo usa un’altra persona. Dimessa la tipa istericamente esagerata mi arriva una nuova compagna. Tornata in camera dopo la passeggiatina anziché una partoriente arriva una tipa che ha un fibroma. Esagerata pure questa. Prego pure per lei e le regalo il mio rosario. Non è detto che la operino. La incito ad affidarsi a Dio. Tutto va bene e la operano. Non è stato un intervento così devastante e poi è una tipa molto magra. Sembra una modella di Modigliani ma lei che fa la donna di servizio a ore non sa chi sia. La sorella vorrebbe restare per la notte ma il primario dice di no. Fanno rimanere infatti solo per casi gravi come il mio. La seconda volta che provo a fare pipì finisco col farmela addosso e scoppio in lacrime mentre sono al telefono con la mia amica Eliana Pergolizzi. Mi sento impotente, mortificata, umiliata. Una giovane terziaria francescana che fa volontariato ed è passata a lasciare delle preghiere, vedendomi piangere si offre di aiutarmi. Ma dalla comunità di San Gabriele non è venuto nessuno da domenica. Mi sento molto sola e mi scoraggio. Sono venuti solo Sergio Todesco, Pino Grosso, Antonella Tedesco, Serena De Grazia, Lucia. Mara è venuta prima dell’intervento. Mi chiamano Sandy e Padre Lorenzo. Quando prova a chiamarmi Padre Tonino cade la linea e ci resto male. Tutti hanno tante visite ma da me non viene nessuno per diversi giorni. Mi rendo conto di essere molto più vicina a Gesù. I giorni cominciano ad essere pesanti. Non sento lo stimolo della pipì ma provo a chiamare un’infermiera. Ma la pala è gelata. Quando torna le chiedo di farmi andare in bagno. L’hanno pulito da poco e la mia compagna non può usarlo. E’ quasi mezzanotte e chiedo poi all’infermiera se mi porta una delle sedie a poltrona. Vorrei passare un po’ di tempo seduta. L’infermiera se ne va e mi lascia là. Passo tante ore seduta sulla sedia e quando all’alba non ce la faccio più prego Dio di mandarmi degli Angeli e così vengo sollevata e messa a letto. Alle sette l’infermiera, vedendomi a letto si complimenta per la mia bravura. La notte insonne mi ha messo ko e vorrei dirgliene quattro. No le rispondo a chiedo della ragazza madre. Mi informa che è stata dimessa. Mi dispiace così tanto che piango. Le infermiere che arrivano sono quelle simpatiche e una mi dice “Prof che fa? Quando è arrivata sembra una prof di educazione fisica, ora sembra una prof di Musica!” Sono insofferente a tutto e ci resto male perché non mi hanno portato la Comunione. E’ mercoledì e nella mia parrocchia incomincia l’Adorazione Eucaristica dalle 8 alle 18. Mi unisco dal mio letto a quanti pregano in chiesa. Mi portano da mangiare. Mela cotta a pranzo e a cena. La sera viene a trovarmi Eleonora, la terziaria francescana che mi aveva lavato la sera prima. La visita della simpatica Eleonora mi ha fatto ritornare il sorriso. Nel momento del bisogno si vedono gli amici e cosi mi rendo conto di avere due sorelle, Antonella Grosso e la Pepa.
Quando di turno c’è l’amico Giovanni lo mando a chiamare per leggere qualche mia poesia. Pensare a Panarea mi fa sentire meglio. Lo spirito è forte ma i dolori mi spaccano in quattro. Ora sono trenta giorni ma ancora la ferita non è rimarginata, e sto sulla mia bella poltrona elettrica che mi alza e distende, comoda per dormire. Come passare le giornate? Letture, giochi su face book e messaggini affettuosi degli alunni. Quando starò bene? Dicono che ci vogliono due mesi. Intanto sono andata al controllo uscendo dall’ospedale ho avuto un mancamento. Ancora non so se devo fare chemio e domani passo la visita per l’invalidità. Quando penso a queste cose è come se Teresa Lazzaro fosse un’altra persona. Mi devono aiutare a lavarmi e vestirmi. Lode a Dio per la mia mamma. Che fatica per una donna di quasi 84 anni malandata e bisognosa. Siamo insieme 24 ore su 24 ed è bello condividere tutto. E’ vero che chi confida in Dio non resta mai deluso. Dio ha guidato bene i miei passi. Se il Preside mi avesse concesso di fare il corso di aggiornamento il giorno dopo sarei andata a scuola e si sarebbe fuso il motore!. Il suo no mi ha fatto stare cosi male che ho pensato alla mia salute e sono grata a Dio perché ho tanti amici che sono bravi medici e hanno scoperto il carcinoma. Lodo Dio anche per aver avuto come giorno libero il lunedì così ho avuto modo di far controllare la macchina. Non ho soldi, sono debole ma so che Dio è sempre con me e mi protegge e mi tiene stretta a se. La notte mi dorme accanto e non fa caso al mio peso o alle cicatrici del mio corpo. Mi ama come sono, mi stringe a sé e mi AMA di un amore immenso, quell’amore che nessuno avrebbe potuto darmi.
Mamma mia Teresa. L'ho letto tutto d'un fiato. Avevo già notato la tua nota dove dicevi di leggere tramite il blog, ma non avevi scritto il www davanti ed io cliccandoci sopra non ci ero subito arrivata.. Scusa. Scusa se anche oggi non ho scritto niente. Ho letto la parola carcinoma e mi sono bloccata. Ho preferito andare avanti e non pensarci. Ora invece sono tornata sui miei passi e ho voluto leggerti. Mi dispiace che tu debba vivere questa sofferenza. Già lo avevi dovuto fare tre anni fa..ora ti si è ripresentato e devi ricominciare la tua battaglia, che forse, in realtà, non avevi mai smesso di combattere. Ti sono vicina con il pensiero e pregherò il buon Dio affinchè abbia cura di te. Ciao Teresa, ti abbraccio. Raffaella T.
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